L’assenza ed il desiderio, fondamentali per l’immaginario di Luca Marianaccio
Luca Marianaccio è un artista che lavora principalmente con la fotografia. Nel 2020 è tra i finalisti del The Independent Photographer ‘Emerging Talent’ competition, espone al Festival Camera Work/OFF a Palazzo Rasponi di Ravenna, alla HUB ART Gallery ed è tra i vincitori di REFOCUS 2 curato da MUFOCO, MiBact e Triennale Milano.
Per INSIGHT Foto Festival esporrà a Varese Vive il progetto fotografico Effetto farfalla, un lavoro che fa parte di COVISIONI, un progetto che vede coinvolti 40 fotografi di 20 regioni italiane per la durata di 12 mesi.
In questa intervista Luca Marianaccio ci racconta la sua idea di identità e come il mezzo fotografico può offrire, a posteriori, un’analisi dei suoi cambiamenti.
Come nascono i tuoi progetti fotografici, qual è il processo?
I progetti non hanno mai la medesima genesi, nascono sempre dalla necessità di voler mostrare il mio punto di vista su un determinato argomento.
Cerco sempre di fare un lavoro di introspezione nell’immaginario, nella storia, nella provenienza e nei sentimenti. Il lavoro insegue le mie tracce, individuo i segni ed inizio a dialogarci attraverso il medium. Il processo, che porta a compimento il progetto, è diventato col tempo una delle ragioni per cui trovo ancora interessante esprimermi anche attraverso la fotografia.
Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Ho trascorso gran parte della mia vita in luoghi marginali, periferici, dove la noia ha giocato un ruolo puntuale.
L’assenza ed il desiderio sono stati fondamentali per coltivare il mio immaginario che, negli anni, si è nutrito di interessi nobili come l’arte, il cinema e la musica. Non vedo l’ispirazione come un atto immaterico ed improvviso, per quanto mi riguarda la serenità mentale ha un ruolo decisivo.
Posso far giacere ed accumulare mentalmente, tutto il necessario per la costruzione di un’opera, ma sono sempre fortemente soggiogato da quell’incipit creativo che nasce da uno stato di equilibrio.
Che cos’è per te l’identità?
Di persona, l’essere appunto quello e non un altro, è il risultato di un processo incessante, mai ultimato.
La mia identità è provvisoria, fragile e composta da una molteplicità di caratteri, il calco delle mie esperienze, una rappresentazione unitaria di me oggi.
Tale rappresentazione cambia in relazione alla prospettiva assunta da chi mi guarda. Identità è riconoscersi, prendere coscienza di se stessi.
E come il mezzo fotografico può raccontarla?
Identità significa anche orientarsi, conoscere la propria posizione nella realtà quotidiana, nell’ambiente circostante. Il medium fotografico ci aiuta nell’ardito compito di narrare l’idea, che un individuo ha di se stesso, e che lo rende distinguibile dagli altri.
Coscienza ed idea che non rimangono fissi, ma evolvono, sia rispetto alla crescita dell’individuo, dall’infanzia alla vecchiaia, sia per effetto dei cambiamenti che si verificano a livello sociale. Sicuramente, il medium può offrirci, a posteriori, un’analisi di questi cambiamenti, a volte anche involontariamente ci si accorge dei mutamenti, necessariamente questo tipo di indagine porta con sé l’impiego di un fattore necessario alla comprensione, il tempo.