Un viaggio nell’identità dei luoghi
Non pensavo che girare per le mostre del Festival sarebbe potuto diventare un viaggio nel tempo e nello spazio…e invece così è stato, grazie a quegli autori che hanno declinato il tema dell’identità collegandolo ai luoghi.
Di fotografie di paesaggio e location da urlo siamo circondati ovunque e ci siamo ormai abituati tutti a quei colori saturi e brillanti. Tanto che non ci chiediamo neppure se quel posto potrebbe mostrarsi diversamente da come lo propongono i travel blogger o i brand del turismo.
Quel che ho apprezzato di più di questo “viaggio per immagini” durante il festival è stato invece il grande rispetto che gli autori hanno avuto nei confronti dei luoghi d’infanzia, della memoria o in alcuni casi del loro recente passato e prossimo futuro. È un rispetto rigoroso, cercando il modo più fedele di aderire al genius loci proprio di ciascun luogo.
La mia personale esplorazione nel festival è partita dall’Emilia Romagna scoprendo Guideline, un agglomerato di case che addirittura non esiste sulla mappa di Google. È il luogo che mi ha raccontato Jessica Raimondi e che attraverso le sue ricerche e immagini ha preso forma.
È stato il luogo natale di sua nonna e il paese dove l’autrice ha trascorso l’infanzia finché, da adolescente, non ha resistito oltre e ha scelto la città, trasferendosi a Bologna.
Jessica Raimondi ha portato al festival tutto il materiale di ricerca intorno a Guideline (fotografie d’epoca, suoi scatti degli ultimi anni e materiale d’archivio) raccolto in diversi anni. Ha lasciato che fossero i visitatori ad allestire la mostra appendendo le immagini e spostandole, modificando continuamente il suo aspetto. Guideline si è rivelato un luogo mutevole sotto molti punti di vista: è cambiato nel corso della vita dell’artista in base alla sua sensibilità, ma è cambiato anche negli avvenimenti storici che lo hanno attraversato e ne hanno definito l’aspetto attuale.
Ho continuato il mio “viaggio ideale” passando poi per Grottaglie, in Puglia: è il luogo in cui dal 2019 vive Luca Marianaccio, che ha scelto la fotografia come mezzo per sentirsi parte di quella “nuova casa”. Nella sua mostra “Effetto farfalla” ci sono immagini di singoli elementi, dettagli di quartiere, close-up che sembrano fuori dal tempo e dallo spazio ma che Luca ha trovato girando il centro storico di Grottaglie alla ricerca di un’identità di quel posto.
Come fare per sentire proprio un luogo? Ritrarlo sotto punti di vista che sono più significativi per noi, che raccontano qual è la nostra personale visione di quel posto può essere una via. Nessun cliché, solo autentica singolarità. Questo discorso vale ancor di più nell’anno appena trascorso: tra chiusure e isolamenti a causa della pandemia da Covid-19, le foto di Grottaglie agli occhi di Luca riflettono anche quella solitudine.
E poi ci sono luoghi che pensiamo di conoscere da così tanto tempo da “possederli” in qualche modo. Ci sembra che ormai non abbiano più nulla da raccontarci perchè li conosciamo come le nostre tasche, eppure hanno sempre un effetto magnetico tanto da non riuscire ad allontanarci. È quel che ho vissuto nell’ultima tappa del “viaggio” con Federica Cocciro, la sua Sicilia e Milli Marina.
Federica è nata e cresciuta a Milano, dove vive tuttora ma fin da piccola, date le origini siciliane di sua madre, Federica trascorre i tre mesi estivi di ogni anno in terra siciliana.
Iniziare a fotografare e indagare con uno sguardo nuovo il suo luogo d’infanzia solo nel 2020, è stata una svolta nella vita e nel lavoro fotografico di Federica. Era maturato per lei il momento giusto per guardare alle sue radici, per esprimere nelle immagini la gratitudine verso quel luogo.
I soggetti della mostra “Wild Strawberries” sono persone, luoghi, momenti che hanno costruito la sua identità.
Un progetto che è solo all’inizio ma che certamente porterà all’autoritratto più fedele che Federica Cocciro potesse mai immaginare di sé stessa, così mi ha raccontato lei stessa. E non fatico a crederci.
Esperienze come il “viaggio” nel festival mi convincono ancora di più di quanto sia necessario, anche per la nostra crescita personale e per la costruzione della nostra identità, che ci curiamo dei luoghi in cui viviamo. Questi progetti di ricerca fotografica sono andati ben più a fondo del mero effetto scenico, della perfezione estetica, della meraviglia a tutti costi.
Mi hanno mostrato che la fotografia può essere anche rispetto e ricerca delle proprie radici, curiosità e desiderio di sentirsi accolti e parte di un luogo o ancora gratitudine verso un paese che “ci ha cresciuti”.
Ph. Matteo Cavadini e Matteo Canevari