Elena Zanfanti: salvare i frammenti di realtà e ritrovare i punti fermi grazie alla fotografia

Elena Zanfanti esporrà a Insight Foto Festival il progetto fotografico Fango al Cinema Teatro Nuovo Filmstudio90 e venerdì 10 maggio alle ore 19.30 ci sarà la possibilità di conoscere l’autrice.

La sua pratica indaga l’identità, nel suo carattere d’impermanenza, e il paesaggio, quando è lo specchio dei luoghi interiori.

La produzione artistica è caratterizzata dalla ricerca del silenzio finalizzato all’ascolto interiore, all’emersione delle inquietudini. L’opera diventa il luogo del confronto con i propri turbamenti.

In questi giorni l’abbiamo intervistata e ci ha raccontato quanto la fotografia possa salvare i frammenti di realtà. 

Elena Zanfanti
Come nascono i tuoi progetti fotografici, qual è il processo e le tue fonti di ispirazione? 

I progetti partono da una visione e dal modo in cui mi approccio alla realtà. Osservo molto i media: su ogni argomento, dal più grave al più frivolo, si sviluppa un fervente scambio di opinioni, ma i punti di vista maggiormente condivisi si fermano di solito sulla superficie delle questioni.

Mi sforzo di interrogarmi, cercando di adottare una prospettiva insolita. L’analisi che ne deriva diventa il fulcro del mio progetto.

Elena Zanfanti
Che cos’è per te urgente?

Nei miei progetti a volte c’è l’urgenza di comunicare, più spesso c’è l’urgenza di salvare una memoria, prima che sia cancellata.

La società cambia rapidamente e dimentica facilmente ma, nel flusso degli eventi, scorgo dei dettagli che destano il mio interesse. Mi incaponisco su frammenti di realtà che poi sento la necessità di cristallizzare perché, anche da soli, questi frammenti sono in grado di dire moltissimo, sono portatori di riflessioni sugli accadimenti che per me sono importanti e che vorrei comunicare.

E come il mezzo fotografico può raccontare questo tema?

La fotografia ha sempre avuto una relazione complessa con il concetto di verità. Teoricamente si pensa che nulla possa restituire più verità di una fotografia, in pratica fin dai suoi esordi il mezzo si è rivelato un potente filtro, in grado di mediare tra spettatore e realtà, di proporre una parzialità, un punto di vista.

Oggi, che siamo invasi non solo di immagini create dall’uomo, ma anche di immagini elaborate da un’intelligenza artificiale, c’è uno scetticismo diffusissimo, una totale “miscredenza” della verità proposta.

Il rischio è quello di perdere i propri riferimenti, i punti fermi, che plasmano il nostro modo di pensare al mondo esterno. Salvare i frammenti allora diventa l’occasione di fermare il flusso, concedersi il tempo di ragionare sull’accaduto e ritrovare punti fermi, e per esteso ritrovare se stessi.

 

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