Mondo Imperfetto: un’esperienza personale, un racconto intimo di Monica Cattani
In Sala Veratti a Varese saranno esposti i lavori fotografici di Monica Cattani.
Per Insight Foto Festival l’autrice porta il suo progetto Mondo Imperfetto che nasce da un’esperienza personale. Un racconto intimo che parla della perdita di un figlio e del coraggio di andare avanti.
Il lavoro è nato nel 2019 attraverso la realizzazione del libro fotografico “Mondo imperfetto”, parte dell’archivio Dummy Photobook, un progetto di editoria partecipata a cura di Luca Panaro.
L’abbiamo incontrata, a pochi giorni dall’inizio del festival, per farci raccontare come nascono i suoi progetti e abbiamo scoperto quanto siano importanti per lei i piccoli accadimenti e i dettagli.
Come nascono i tuoi progetti fotografici, qual è il processo?
In genere parto scrivendo e man mano allargo. A volte abbozzo qualche disegno o una lista di vocaboli che arricchiscono la mia idea di partenza. Ritaglio qualcosa dai giornali, anche immagini. Comincio facendo qualche foto che si focalizza sui particolari. (ad esempio, per un lavoro su mia madre, il suo bracciale al mio polso).
È una sorta di gestazione che può generare più di un progetto.
Scelto il progetto, lo rielaboro e in genere velocemente lo concludo, anche se mi accorgo che poi anche a distanza di tempo mi viene da aggiungere qualcosa. Insomma non chiudo il discorso. Spesso mi accorgo che ho quasi tutto dentro (o vicino) casa.
Fisso inoltre la mia attenzione su piccoli accadimenti, su qualcosa che mi è capitato, su frasi che mi capita di “captare” con maggior sensibilità in qualsiasi ambito, verso qualsiasi riferimento, scavo nella memoria. Rifletto su cose accadute tanti anni fa, ripenso alle frasi dei miei genitori. Frasi che ho letto su libri giornali. Cose che ho visto. Controllo il flusso, ciò che ero e ciò che sono, le trasformazioni (principalmente di pensiero ma anche del corpo). A volte sono ossessionata dai colori, di come contribuiscono attraverso la luce a determinare sensazioni, armonie, forme e oggetti (amo il design o meglio mi sto impegnando per conoscerlo meglio). Osservo le collocazioni di tali oggetti (le case, per esempio, se oggetti possono definirsi… ), i loro “SEGNI”. Il pieno e il vuoto… il loro spazio insomma.
Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Sicuramente la lettura.
Poi le persone con i loro tic, le loro convinzioni, dubbi e paure, che sono anche le mie.
Le ossessioni su tutto. La natura mi ispira perché tendo a modificarla, ricostruirla.
Che cos’è per te l’identità?
Per me è uno specchio a cui non posso mentire, che mi sprona sempre a guardare la realtà, a tutti i costi per quella che è non per quello che vorrei che fosse: in modo impietoso.
La realtà a volte è mia e solo mia, quindi soggettiva, introspettiva. A volte invece diventa una realtà sociale, confusa, condivisa, ideale, ritrovata o perduta.
Direi quasi una realtà civile, necessaria per restare in piedi e resistere ad ogni stereotipo affermando la propria unicità.
E come il mezzo fotografico può raccontarla?
La fotocamera è appunto un mezzo, come la camera oscura o la post produzione. Servono tutte per esplicitare il mio pensiero, per interpretarlo in tutte le sue sfaccettature. Più che la tecnica espressa da questo mezzo mi attrae il fare fotografia, produrre immagini, formalmente corrette o sfuocate, buie o sovraesposte, desaturate o colorate, modulando luce, staticità, movimento.
E qui per me entrano in ballo anche i materiali: carte di ogni tipo, pellicole diverse se fotografo in analogico, polaroid manipolate. Mi servo di tutte queste cose per tradurre e trasmettere il mio pensiero in immagine.