Irrequietezza, traumi irrisolti o domande persistenti. Ecco come nascono i progetti di Ilaria Sponda
Ilaria Sponda porterà in mostra a Insight Foto Festival il progetto fotografico Geography of our love, nato dal tentativo di ricostruire una mappa emotiva utilizzando i negativi, intesi come forma primordiale delle fotografie scattate.
Negativi presenti nello spazio di Varese Vive e che racconteranno in maniera molto intima l’immersione in un mondo altro.
Per l’autrice la fotografia è una forma d’arte intima, sottile e fragile, così come l’identità. E l’atto fotografico è un incontro tra due identità che si ibridano per narrare l’una dell’altra.
In questa intervista Ilaria Sponda ci racconta come i suoi progetti fotografici nascano da forme di irrequietezza che sente dentro di sé, traumi irrisolti o domande persistenti.
Come nascono i tuoi progetti fotografici, qual è il processo?
Solitamente i miei progetti nascono da forme di irrequietezza che sento dentro di me, traumi irrisolti o domande persistenti. Penso molto, voglio conoscermi a fondo e nel processo di ricerca sul mio passato e il mio presente ho bisogno di tracce visibili, spesso astratte, a volte realistiche.
È così che inizio a fotografare me e gli oggetti che ho attorno, altre forme di vita o puri colori, tutti simboli inconsapevoli, spesso illogici dei miei pensieri e delle mie paure.
A volte inizio un progetto sapendo già dove voglio arrivare, altre invece il progetto nasce a posteriori dall’osservazione di immagini già archiviate che paiono essere legate da un filo rosso invisibile.
Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Le poesie, mie o di altri/altre, i libri, le parole, le foto ritrovate, sia della mia famiglia che di sconosciuti, le foto di Francesca Woodman. Trovo ispirazione nell’intimità, nelle piccole cose che celano verità profonde come le pietre, le conchiglie, le pietre e la natura.
Spesso è il dolore interiore che mi ispira, ma anche l’amore. Nell’ultimo periodo sono più ispirata dai negativi delle foto che scatto più che dalle foto stesse, per la loro presenza palpabile, la capacità evocativa e onirismo.
Che cos’è per te l’identità?
L’identità è per me unità delle differenze, armonia, riconoscimento di sé e piena manifestazione della propria natura. Infatti non c’è unità né equilibrio se non si accettano le contraddizioni e le diverse nature che ogni individuo porta in sé.
Sebbene sia facile perdere il senso dell’identità per una generazione come la mia, rimane fondamentale continuare a cercarla, provare, fallire, per poi costruirla con consapevolezza e ricostruirla di continuo, perché non c’è sconfitta peggiore che smettere di crescere e conoscersi. L’identità si forma a partire da ciò che si è, senza limiti imposti, e si evolve solo nel contatto con l’Altro.
E come il mezzo fotografico può raccontarla?
Il mezzo fotografico la può raccontare semplicemente perché fissa una forma, un pensiero, un punto di vista. Costituisce un modo intimo per conoscersi, trovarsi e ritrovarsi. Più profondamente, il mezzo fotografico è capace di produrre immagini più evocatrici delle parole, parlano per l’artista e ne narrano più di quanto esso/essa riesca a dire. Sebbene così democratico e ormai così fragile per la troppa pressione impostagli da una società capitalistica e tecnologica, è una forma d’arte per pochi, perché intima, sottile e fragile, così come l’identità. L’atto fotografico è un incontro tra due identità di diversa natura che si ibridano per narrare l’una dell’altra.